
Dell'autunno

Una persona freddolosa come me sarà sempre portata a dirvi, e a dire a se stessa, che la sua stagione preferita è l'estate. Uscire con pochi stracci addosso, sentire l'aria sulla pelle, l'erba che solletica, l'acqua che accarezza. Camminare per il quartiere dopo cena godendosi un tramonto, andare al lavoro in bicicletta e sopratutto: uscire dal lavoro e vedere ancora luce, ancora tempo per vivere!
E' la stagione dell'aria aperta per eccellenza, in inverno continuo ad andare a camminare in montagna ma la differenza nel godimento è incommensurabile: vuoi mettere arrivare sulla cima del monte e poterti sdraiare a leggere anziché dover ripartire dopo un sorso di thè perché fa troppo freddo per stare fermi?
Godimento incommensurabile, già, apparentemente.
Ho sempre sofferto di una forma di claustrofobia ben più estesa di quello che riguarda gli ascensori, le grotte, i tunnel sotterranei e gli spazi piccoli. Il mio bisogno d'aria si manifesta anche nella vita pratica di tutti i giorni: provo fastidio all'aumentare degli strati di vestiti che indosso, odio le sciarpe e non ho mai saputo come "aggiustarle" in modo trendy, e sopratutto senza impigliarle nei miei da sempre lunghissimi capelli. E non sono certo la donna che può farne a meno, che può permettersi di andare in giro con cinque gradi e il cappotto aperto, col vento gelido che picchia sul petto, come la mia migliore amica. Niente di tutto ciò, al primo sbalzo di temperatura mi viene il mal di gola e trascorro i mesi bui con qualche linea di febbre.
Questo mi ha sempre rovinato la maggior parte di ogni annata, ma ora il clima si fa più mite e qualcosa in me sta cambiando. Il mio spirito è chiaramente poetico, vedo la magia pure nell'asfalto (quasi dai). Mettendo da parte il fattore temperature, ho sempre amato l'autunno, una "mezza stagione" che quasi non esiste più, da molto tempo. Una stagione che ti prende per mano delicatamente, ti accompagna ai mesi gelidi con un percorso che ti porta a guardarti dentro per poi riconsegnarti ai miracoli della primavera: i fiori che sbocciano. Ti conduce nella profondità di ogni cosa spingendo però a focalizzarti su te stesso. Brutto, bello, colorato e marcio. Le prime volte che si compie questo cammino di introspezione si finisce per ritrovarsi nel dolore delle foglie che cadono, a piangere dentro per la fine di qualcosa.
Io, talmente sensibile, soffrivo per la bellezza estenuante del paesaggio nel complesso o di una foglia in particolare.

La bellezza, negli anni della mia crescita, ha sempre giocato un ruolo fondamentale. La bellezza mi ha straziata, incantata, mi ha condotta in relazioni che non avrei dovuto vivere, mi ha imprigionata in certi mondi, mi ha spinta ad essere crudele con molti ma mi anche insegnato tanto.
Con l'esperienza tutto cambia, oggi godo di gioia per una foglia rosso fuoco, per la lucidità di una castagna matta o il profumo di quella buona che mi sazierà.
Inizio ad apprezzare il calore di un maglione e come leggere in un prato anche riuscire ad accendere un camino in un bivacco, dopo aver camminato nella neve, è un piacere ed una grazia incommensurabile. Perché bisogna essere grati alla natura per i suoi doni e a noi stessi che abbiamo imparato a coglierli. Grati per il pezzo di formaggio col pezzo di pane e il bicchiere di vino. Di quelli che se li sbatti sul tavolo non si rompono. Per la legna e il fuoco che ci riscaldano e catturano, per gli alberi e i loro frutti.

Oggi ho un giorno di riposo, è appena iniziato l'autunno e con questa immagine in testa mi preparo dapprima a cucinare: risotto di zucca, torta salata con radicchio e una crostata. Poi salirò sul monte per vedere a che punto è la preparazione dello spettacolo che mi aspetta, che ci aspetta.
Non fatelo attendere tanto
